"L'Italia sarà ricca e potente quando diverrà prospera la sua agricoltura"
Sfrondando la retorica un tantino altisonante ma caratteristica dell'epoca, la frase rimane attuale nell'esprimere l'auspicio - tuttora da conseguire - che vengano valorizzati il settore primario e la cruciale questione della produzione di cibo per una nazione. Una questione che nel nostro XXI secolo si rivela ancora di assoluta attualità.
Spigolando il volume del prof. Marro, alla pagina 217 troviamo la sua esposizione sul grano monococco. La riportiamo integralmente perchè ha molto incoraggiato la nostra scelta nei riguardi di questa coltura agli albori della nostra attività agricola.
"Triticum monococcum. Si distingue per avere ordinariamente un sol seme per ogni spichetta. La spica è molto compressa e aristata. Tallisce abbondantemente, è pochissimo soggetto alle malattie, il fogliame è di un verde vivo. Non dà che prodotti molto piccoli.
Una volta era molto più coltivato di ora. Gli antichi scrittori latini lo citano sovente, ma attualmente la sua coltivazione in Italia è limitata a qualche alta valle dell'Appennino. Anche negli altri paesi d'Europa essa ha poca importanza e si mantiene soltanto in alcune ristrette parti di regioni montuose e poco fertili, come il centro della Francia, la Lorena, il Giura, la valle del Reno, la Svizzera, la Svevia, la Franconia, l'Ungheria e la Russia.
La causa principale che ha fatto restringere la coltivazione di questo cereale sta nella difficoltà della macinazione, perché prima di ridurlo in farina bisogna farlo passare sotto macine speciali per liberare i chicchi dagl'involucri che li coprono. In compenso ha sul frumento parecchi vantaggi, che si possono riassumere nei seguenti: